Salute mentale: di nuovo la restaurazione

[Aldo Lotta*]

 

E’ innegabile che l’atteggiamento di una nazione, di una qualsiasi istituzione, verso le fasce deboli è un decisivo indicatore del suo livello di civiltà e del grado di democrazia. Oggi più che mai, e qui più che in altre regioni, chi si trova ad appartenere ad una fascia debole, per motivi di salute, economici, di giustizia, ma a volte anche di genere o di età, risente ancora di più, a causa della crisi, del processo di graduale sottrazione dei diritti anche essenziali. Il confine è labile, lo vediamo tutti i giorni: ognuno di noi può, da un giorno all’altro, trovarsi a sconfinare in questo vasto territorio. Questo vale anche e soprattutto, per la salute mentale. La condizione della salute mentale nel nostro paese è, in effetti, fortemente rappresentativa delle avversità drammatiche insite nei profondi cambiamenti socio-economici e politici in corso. Alla sorprendente rivoluzione degli anni 70-80, voluta da Basaglia, che ha posto l’Italia in primo piano nel mondo nel campo della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo, ha fatto seguito una serie infinita di tentativi di revisione di quei principi sia sul piano legislativo che della attuazione pratica. Questo ha fatto sì che si realizzasse una profonda scomposizione a mosaico del territorio, con realtà fortemente progredite alternate a zone di sottosviluppo culturale, in cui le istanze manicomiali di fatto mantenevano la loro preminenza, soprattutto colla conservazione del primato di una cultura ospedalo-centrica e privatistica riguardo la gestione della salute mentale. Il progressivo imporsi della cultura neoliberistica e della logica del mercato assoluto, accanto all’impoverimento globale della società, ha evidentemente favorito il restaurarsi nel campo della salute mentale, di pratiche asettiche, prettamente cliniche, sulla base di una visione anni 50: i dipartimenti di salute mentale si possono così (elegantemente?) distanziare da problematiche squisitamente sociali, ri-dedicandosi alla cura “psichiatrica”; ciò a prescindere dal mondo in cui la persona si muove, mondo in cui ha sviluppato e in cui coltiva i propri disagi. Le problematiche sociali sono quanto mai gravi e emergenziali nella nostra regione, dove, le linee di indirizzo regionali per la tutela della salute mentale 2012-14, pur nella loro freddezza scientifica e statistica, mettono in evidenza “un elevatissimo carico assistenziale (188,8 persone per 10.000 abitanti afferenti al CSM, mediamente, in un anno)…Il dato è comunque per tutte le ASL sorprendentemente alto e non trova alcun riscontro in nessuna altra realtà regionale… Tra i pazienti si riscontra una diffusa precarietà o assenza dell’attività lavorativa (non occupati, disoccupati, persone con lavori saltuari, ecc)… con una pesante presenza di alcuni disturbi psichici (specie dello spettro depressivo).” Per non parlare dei tassi di suicidio… Ora, riprendendo l’efficace metafora del treno senza guidatore, vorrei ricordare che dal 2004 al 2009 questo treno ha avuto chi sapeva condurlo: l’assessora regionale Nerina Dirindin aveva voluto un coinvolgimento pieno di operatori, pazienti e familiari per la realizzazione di un progetto che doveva spostare “fuori le mura” le pratiche della salute mentale: i centri di salute mentale dovevano strettamente articolarsi con tutte le risorse vitali della comunità di appartenenza, a partire dalle famiglie, in funzione del raggiungimento dell’obiettivo del superamento dell’emarginazione. Per quel che mi riguarda, sono tantissimi, ed estremamente preziosi e gratificanti, i risultati resi possibili in quegli anni attraverso lo strumento riabilitativo, che fino ad allora era stato visto come un supplemento minore della cura, e a volte ciecamente ostacolato. La Sardegna costituisce un ambito fortemente rappresentativo di tutti gli elementi congiunturali della crisi globale, ma per questo può anche essere un luogo di sperimentazione di buone pratiche, proprio come nel periodo che ho richiamato. A patto però che le persone non attendano più che un nuovo esperto conduttore le conduca alla meta sperata, ma che assumano tutte, ognuno per il proprio ruolo, il compito di rimettere in sesto e curare il treno abbandonato a se stesso, attraverso una manutenzione attenta, e assicurino, a chi è più in grado di rimettere in cammino il prezioso convoglio, una costante vicinanza e collaborazione. Il percorso è inevitabilmente quello della salvaguardia dei più preziosi e inalienabili beni comuni: i diritti fondamentali della persona. Non può non tornare ancora una volta in mente il pensiero di Basaglia, lucidamente consapevole delle dinamiche tragiche, ma non incontenibili, del potere: “Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo ‘vincere´, perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo ‘convincere´. Nel momento in cui convinciamo, vinciamo, cioè determiniamo una situazione da cui sarà più difficile tornare indietro”

*dal numero 173 del manifesto sardo

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Autore: OndeCorte

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