La dignità di Maria Luisa e la malainformazione

[Roberto Loddo]

“Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete
avete ancora la libertà di pensare
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere
e di fotografare” (Giorgio Gaber)

Bonny and Clyde rubano auto a Porto Pino: arrestata dai carabinieri. Inizia così l’articolo di cronaca giudiziaria di un noto quotidiano sardo online. Bonnie Parker e Clyde Barrow sono stati una famosa coppia di criminali statunitensi degli anni trenta. La loro storia è stata raccontata da numerosi film, libri e svariate canzoni. Ma cosa c’entra l’esperienza di questa storica coppia di fuorilegge con il furto di una panda a Porto Pino? Era necessario marchiare questa donna con un nome così poco dignitoso e pubblicare la sua foto in primo piano? L’articolista spiega che sono i carabinieri che definiscono la presunta autrice del furto come “la novella Bonny”. Quindi è giusto etichettare un presunto autore di reato attraverso lo stigma imposto dalle veline e dai mattinali delle questure?

I giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria non dovrebbero limitarsi al dovere di garantire un’informazione trasparente e corretta. Il dovere è anche quello di avere e generare senso della solidarietà su se stessi e su chi legge. La stampa non ha solo il compito della garanzia dell’informazione, perché può diventare uno strumento di formazione delle persone. Che tipo di formazione e di insegnamento stiamo dando a Maria Luisa una volta che la trasformiamo in una pericolosa Bonnie Parker qualsiasi?

Quando ho letto il pezzo sull’arresto di Maria Luisa mi sono venute subito in mente le parole di una canzone di Giorgio Gaber, che accusa il mondo del giornalismo, ridotto a sguazzare morbosamente alla ricerca di tragedie e drammi. Un mondo che ha abbandonato ogni dovere di critica sociale e politica dell’esistente. Forse Giorgio Gaber ha esagerato nel disegnare un sistema dei mass media così marcio. Non tutte le linee editoriali dei giornali hanno il limite di considerare come scelta consapevole la stimolazione dello stomaco dei propri lettori per produrre rabbia, pietà e commozione. Fortunatamente esistono anche giornalisti e giornali che sono ben consapevoli del loro ruolo sociale di formatori dell’opinione pubblica e delle coscienze. Esistono linee editoriali serie e responsabili che quando affrontano la delicata dimensione della privazione della libertà personale per i presunti autori di reato sono consapevoli di mettere al centro di ogni dinamica giudiziaria la persona, la sua dignità e i suoi diritti. Perché anche chi sbaglia ha diritto di ritrovare forza e dignità in se stesso.

Nell’era dell’informazione online si potrebbe anche dire che il gusto della lacrima in primo piano, della ricerca cannibale del disastro umano è un’esigenza determinata da una vera e propria caccia ai like e ai followers. Non ci sarebbe nulla di male se ci si limitasse a questo. È un confine che si supera spesso negli articoli di cronaca giudiziaria quando un giornalista smette di cercare, guardare, ascoltare, domandare e si abbandona ai comunicati stampa della Questura.

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Autore: OndeCorte

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